I problemi di un territorio, uno stato, una confederazione non sono mai solo locali. Sono tra loro interconnessi e necessariamente influenzati da una pluralità di fattori che, anche quando sono tipicamente locali, assumono sempre una valenza ulteriore, che va ben oltre gli stretti confini del luogo.
Ho sempre pensato che l’assetto finale del nostro sistema dovesse essere basato su tre livelli: locale, confederale e globale. Nel reciproco rispetto. Il primo in difesa dell’identità propria di ciascuna parte. Il secondo in difesa di quegli interessi di area, condivisi da più parti attigue, vicine ma
diverse, e necessariamente convergenti. Il terzo in difesa di valori che travalicano ogni confine.
Globale. Ciascuno portatore di diritti e di doveri che si condizionano l’un l’altro, reciprocamente.
Ma nel mentre tale assetto si va profilando, la politica contingente di ogni parte, sia essa una regione, uno stato o una confederazione di stati è condizionata dalle urgenze del luogo e del momento. Dell’hic et nunc. Ne conseguono i conflitti più vicini, quali ad esempio il problema basco e quello catalano; e più lontani, ben più gravi, quali quello della Crimea, quello israelo-palestinese e quello curdo.
Parlare di torto e di ragione di una parte o dell’altra, laddove c’è violenza, è folle.
Il futuro del mondo dipende da un’utopia necessaria; ovvero dalla capacità di ognuno di trovare il giusto equilibrio nella salvaguardia della propria e dell’altrui identità; nel superare e al contempo tutelare gli interessi di ciascuna parte.
Ciascuno ha le sue ragioni, ma nessuna ragione può giustificare l’uso della forza, in qualunque forma espressa.
La pace e la giustizia sono non solo un diritto, ma anche un dovere; della cui difesa siamo tutti responsabili.