Editoriale

Dio salvi l’Italia

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In Italia il dibattito politico è oggi concentrato sul MES, e che passi o no, non finisce lì.
Il contrasto non è solo tra maggioranza e opposizione, ma anche tra PD e M5S.
L’impressione che se ne trae è che se non fosse per i sondaggi e la paura che questi partiti hanno delle elezioni, il governo si sarebbe già sfaldato.
Le cause sono infinite e certamente non saranno risolte a breve.
Al di là dell’ovvia strumentalizzazione politica che ciascuna parte fa di ogni argomento con finalità puramente elettoralistiche in vista delle prossime tornate regionali, per quanto riguarda il MES il problema sta nella inevitabile ricaduta che il “Meccanismo Europeo di Stabilità” avrà sull’economia interna in generale, e sulle tasche e i diritti degli italiani in particolare.
Molti sono i nodi che vengono al pettine; e non solo in Italia.
Il MES, noto anche come “fondo salva stati”, fonda sull’esigenza di garantire un equilibrio finanziario armonico tra i paesi UE. A tal fine obbliga ogni stato che ne fa parte a rientrare in precisi coefficienti e inderogabili parametri. In tal modo però l’UE condiziona l’economia interna a ciascuno stato. E in tal modo incide sul portafoglio e sui diritti dei cittadini europei in modo differenziato, creando grandi disparità tra loro.
È così che molti cittadini hanno iniziato a porsi domande quali: Cos’è l’Unione Europea? Conviene? È un’“unione” o una “costrizione”? È un’unione di stati, una moneta valutaria o un mercato comune? Gli
stati che ne fanno parte cosa contano e che ruolo hanno? E cosa contano i loro cittadini?
Ho già detto più volte che a mio avviso in futuro il mondo dovrà inevitabilmente pervenire ad una forma di localismo, confederalismo e globalismo resi armonici tra loro.
Eppure l’attuale tendenza dei singoli stati e l’assetto europeo non vanno in questa direzione.
L’UE riunisce oggi in un contesto disarmonico stati tra loro diversi per risorse, capacità, fiscalità, previdenza, assistenza, ecc… . Tutti, da un lato, sono tenuti a rispettare regole economiche e finanziarie comuni, dall’altro tentano di soddisfare le pur legittime esigenze interne, sfruttando le rispettive differenze in modo competitivo, e inevitabilmente aggressivo; comportamenti sostanzialmente contrari all’idea di una “unione” condivisa, che vengono avvertiti come egoistici dagli altri stati; e dai loro cittadini.
Può una “unione” essere solo economica, o addirittura tendere solo ad una uniformità di bilancio?
È possibile che l’UE si debba occupare solo residualmente e indirettamente dei diritti dei cittadini?
Le leggi del mercato c.d. libero sono in grado di eliminare da sole, seppure gradualmente, le diversità tra i singoli stati che ne fanno parte? Ed è realmente questo ciò che si prefiggono i singoli stati europei?
Domande che attendono una risposta; problemi che devono essere affrontati.
Diversamente, il rischio è che l’Unione si sfaldi; e quanto accaduto in Inghilterra non può non farci pensare.
Tornando all’Italia il passaggio dalla CEE all’UE ha sollevato non poche questioni. Problemi che man mano stanno aumentando e vanno esplodendo.
Mettendo da parte le polemiche su come venne introdotta la moneta unica, ciò che avverte il cittadino italiano è che le regole non sono adeguate e il paese non è stato adeguatamente accompagnato. O meglio difeso. A partire dal momento della demolizione dell’impresa pubblica. Che guarda caso è avvenuta in modo diverso nei vari paesi. Si pensi solo a quanto accaduto in Italia e quanto in Francia a tal riguardo.
In Italia le nostre aziende, che primeggiavano in ogni settore e tutti ci invidiavano, e i cui bilanci finivano spesso addirittura con il pareggiare i disavanzi dello Stato, sono state regalate ai privati.
Sorvoliamo per carità di patria come.
Oggi viviamo il tempo del libero mercato, dell’Unione Europea e della moneta unica.
La partecipazione dello stato italiano nelle imprese di capitali è pressoché inesistente e dove permane è fortemente condizionata.
Sono state effettuate le privatizzazioni e sappiamo come è finita.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Non sono più state fatte opere pubbliche. E quelle realizzate non sono altro che l’attuazione dei vecchi progetti delle partecipazioni statali. Non parliamo delle manutenzioni. Le condizioni di Roma sono uno scandalo.
Ma gli esempi sono infiniti. Genova non sarà ricordata per le sue bellezze ma per la tragedia del ponte Morandi, tristemente noto per le morti causate dall’omessa manutenzione del concessionario e il mancato controllo del concedente; il genio ingegneristico che lo progettò, e di cui il ponte portava il nome, certamente si rivolta nella tomba.
E come tacere del crollo appena verificatosi sull’A6, in prossimità di Savona, dove una parte del viadotto ha ceduto a causa di una frana. Venezia affoga, ma Matera non ride.
L’Italia, dal nord al sud, è stata distrutta da allagamenti, esondazioni e smottamenti; la colpa è stata con leggerezza attribuita al maltempo e al cambiamento climatico (anche se permangono i negazionisti), laddove la maggiore responsabilità va indubbiamente ascritta alla cementificazione incontrollata e alla grave, colpevole, incuria del territorio.
È tempo di Natale, ma con quale spirito lo passeranno le decine di migliaia di famiglie dei dipendenti di Alitalia e ILVA in procinto di rimanere senza reddito a causa della innegabile tragica mala gestio dei politici e degli amministratori pubblici e privati.
Si torna allora a parlare, res melius perpensa, di IRI. Nata e voluta quando c’era “lui”. Dimenticando non solo che erano altri tempi, ma anche che nel frattempo i gioielli di famiglia sono stati venduti. Le principali aziende a partecipazione statale che prima delle fatidiche privatizzazioni erano tanto attive da poter dare copertura anche a quelle che momentaneamente lo erano meno, sono sparite. E con loro l’esercito di dirigenti altamente qualificati. Aziende “casseforti” che sono state dismesse, per non dire regalate, a privati legati al potentato economico politico?
Ci sono rimaste poche roccaforti dalla difficile identità e una sofferta conduzione. Prima tra tutte CDP (Cassa Depositi e Prestiti) con le sue derivate i cui vertici vengono designati in base a scelte strettamente
politiche. Permangono naturalmente indisturbati gli enti inutili.
Ora, cosa si vorrebbe fosse la eventuale nuova IRI? Una bad o una good company? E questa come si concilierebbe con le regole europee? E il MES?
God save Europe, or at least Italy and the Italians!

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